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FONDO

Allarme aereo
Tom blocca il centro di Milano

ps6mi@aol.com

Chiamata alle armi
   "Camillo, cerca Tom, che usciamo".
    Se non gironzolava nelle vie vicine, era senz'altro vicino alla nostra salumeria in via Zamagna. Qui era il suo regno. I cani in transito subivano una meticolosa ispezione: l'odore di ciascuno ne costituiva la carta d'identità. Gli atteggiamenti che tenevano durante il rituale ne rivelavano età, carattere, cultura, educazione. I più giovani si abassavano sulle zampe anteriori e scattavano bruscamente invitandolo al gioco. Le femmine terminavano sempre, tranne casi particolari, con une dolce naso contro naso. Come si allontanavano Tom andava al palo più vicino per rinnovare la sua impronta. All'incontro con un potenziale avversario, questi drizzava il pelo sul dorso, mostrando che non gradiva l'ispezione. La capacità di controllare i nervi permetteva una separazione tranquilla. Dopo il cambio di credenziali l'ispezionato si allontanava lentamente rigirandosi di tanto in tanto, mentre Tom, soddisfatto reimprimeva sui pali il suo marchio di padrone del territorio. Il rifiuto scatenava lo scontro; l'avversario scagliato nella polvere si allontanava in vergognosa fuga.
    Tom era sdraiato davanti al negozio. Al sole di marzo, accettava, abbassando le arecchie e chiudendo gli occhi, le carezze dei passanti conosciuti.
    "Vieni Tom, usciamo con papà".
    Attaccato all'impugnatura destra del triciclo, Tom lo trainava vigorosamente. Papà in sella lo guidava e i due si guardavano di tanto in tanto in una silenziosa, fiduciosa intesa. Io, all'interno del piano di carico, mi sentivo al sicuro. Tom passava abbaiando tra le biciclette, i tram, le rare vetture del tempo di guerra. Papà doveva andare a Palazzo Marino in Piazza della Scala in pieno centro di Milano. Via MANZONI, percorsa da numerose linee tranviarie traversava la piazza, sul percorso che unisce Piazza Cavour a Piazzale Cordusio. Questo tragitto costituiva un nodo cruciale per le linee che, transitando per il centro, collegavano diverse parti della periferiera.
    La facciata del Teatro, protesa verso il mezzo della piazza, lasciava, a destra ed a sinistra, delle zone al riparo dal traffico; mio padre parcheggiò il triciclo nell'angolo sinistro. "Tom resta a cuccia tranquillo, non muoverti, cura il triciclo non fare sciocchezze con le biciclette! Camillo, resta a sorvegliarlo, io faccio in fretta!"
    Dopo mezz'ora, Tom cominciava ad agitarsi ed io faticavo per farlo restare accucciato: le biciclette che passavano erano una tentazione continua. Protestava con me per l'ingiusta imposizione, abbaiando, man mano che il tempo passava, in modo sempre più vivace. Più sagitava, più io lo trattenevo con la catena, più lo trattenevo, più s'agitava. Era cosciente che sarei stato incapace a trattenerlo, lui che, prendendo alla sprovvista papà, aveva rovesciato una volta il triciclo, carico di mezza tonnellata di mercanzie.
    Una moto ci passò pericolosamente vicino. Tom s'alzò furioso e si lanciò con tutte le sue forze all'inseguimento dell'agressore. Il trascinò me e il triciclo per qualche metro; il triciclo si rovesciò. Tom continuò l'inseguimento trascinando il triciclo sin nel bel mezzo dei binari e si fermò, guardando il nemico che si allontanava verso via Tommaso Grossi.
    Mio padre era via da circa un'ora. I tram erano completamente bloccati. La catena che legava Tom al triciclo frustava l'aria. Io facevo acrobazie per evitarla, mentre Tom si spostava rapidamente per impedire ai vigili urbani di avvicinarsi. Intorno a noi s'era formato un cerchio di soldati tedeschi. Ad ogni attacco dei vigili Tom rispondeva con estremo vigore respingendoli. Tom difendeva ciò che gli era più caro: me ed il suo triciclo. Ogni volta che respingeva i vigili, i tedeschi urlavano sostenendo Tom nella sua battaglia.
    Difficoltà amministrative impreviste avevano bloccato mio padre al servizio buoni di razionamento. Quando tornò, col grembiule da salumiere avvolto in vita, com'era abituato a tenerlo quando si allontanava dal negozio, entrò nel cerchio di tedeschi e con un comando secco bloccò Tom. Un vigile, penna in mano, cominciò a verbalizzare la multa. Il viso di papà non pareva entusiasta. Quando il verbale fu redatto, i suoi occhi scrutavano preoccupati il foglio che il vigile gli tendeva. Una mano si interpose per prenderlo. Era un ufficiale tedesco. Guardava mio padre affascinato dal comportamento di Tom, e voleva acquistarlo subito. "No" gli disse papà, "io sono stato ferito durante la prima guerra mondiale; è il mio aiuto, il mio più caro amico, l'amico dei miei figli. E' solo col suo aiuto che io posso portare a casa la merce per il negozio". L'ufficiale ascoltò in silenzio, mise il verbale in tasca, salutò militarmente papà e se ne andò.
    Amavamo il nostro cane e dovevamo pensare a metterlo al riparo da un pericolo immediato. Tre anni prima, all'inizio delle incursioni aeree, Tom era uscito nella via sotto una pioggia di bombe e di fuoco uscenfo dalla saracinesca schiantata dallo spostamento d'aria seguito alle vicine esplosioni. Tornò dopo due giorni e due notti, in uno stato pietoso, quando ormai pensavamo di non più rivederlo. Ricordandoci del fatto pensammo di nasconderlo dallo zio Celestino, che aveva un deposito di carbone al lato opposto della cuittà. L'idea proposta allo zio fu subito accettata ed attuata.
    L'ufficiale tedesco aveva premura d'avere Tom, poiché il giorno dopo ricevemmo dal comando tedesco la chiamata di mobilitazione di Tom per il servizio militare, alle dipendenze dell'esercito tedesco.
    I bombardamenti si succedevano ormai quotidianamente ed una fuga sotto le bombe era più che plausibile.
    Il lavoro per rifornire il negozio era penoso. L'assenza di Tom si faceva sentire. Per papà, ferito in guerra alle gambe, era una grande sofferenza.
    Gli alleati avevano ormai una tale supremazia aerea che potevano permettersi di attaccare ad ogni momento. Le incursioni esclusivamente notturne erano ormai un lontano ricordo. Durante le uscite per recuperare la merce dei razionamenti, al suono delle sirene che invitavano al ricovero dall'incursione, ci avvicinavamo al marciapiede; mio padre accendeva una sigaretta e restavamo così, col naso in aria, guardando gli ultimi combattimenti aerei in cui, ciò che resteva dei piloti della caccia, cercava di ostacolare l'attacco. Una volta restammo in Piazzale Pimonte nel bel mezzo della piazza per veder meglio. Non eravamo l'obbiettivo strategico ricercato, ma ciò non ci evitò la multa di un vigile urbano, perché non avevamo risposto all'invito di metterci al riparo. Ad ogni modo per metterci al riparo da cosa? Alcuni sopravvivevano in un modo strano altri morivano..., semplicemente morivano.
    Un giorno, mentr'ero a scuola, suonò l'allarme. Ci condussero nelle cantine, rinforzate con pali in legno, per servire da rifugio. Nella scuola era installata una sezione del comando tedesco. Durante l'incursione una bomba cadde vicino alla scuola. Quando risalimmo, papà m'attendeva per condurmi a casa. Abitavo a circa mezzo chilometro dalla scuola Luigi Cadorna. Durante il tragitto, tirato per mano da papà, per avanzare più in fretta, guardavo le fiamme ed il fumo nero che si levavano in direzionz dell'Isotta Fraschini. Quel giorno spariva la fabbrica delle più belle vetture dell'epoca, le macchine dei Ré. Quel giorno alcuni sopravvivevano miracolosamente. Una signora che batteva les uova nella sua cucina al quinto piano si ritrovò, come una bomba colpì la sua casa, a sbatterele in via Mar Jonio nel bel mezzo della strada. La morte implacabile giungeva in modo atroce dove voleva. Uscendo dalla scuola, quel giorno, c'era un'altro bimbo, che il padre era venuto a prendere. L'allarme successivo suonò per del suo ritorno a casa. Suo padre andò con lui sotto un carretto e gli fece riparo col suo corpo. A fine incursione il padre si accorse disperato che il bimbo era stato ucciso da una scheggia passata raso terra.
    Se potevamo, andavamo in fine settimana, a visitare Tom. Il luogo in cui era nascosto dovava piacergli particolarmente. C'era con lui Diana, la lupa bianca di zio Celestino, ed il cortile pieno di gatti da inseguire. La fantastica intesa con Diana, l'abilità a prenderli in trappola, aveva convinto i gatti a cambiare alloggio.
    La vita di tutti i giorni era un alternarsi tra la pace e la guerra. Il quindici Aprile 1945 fu il giorno della mia prima comunione. Il giorno precedente c'eravamo confessati, ed avendo scordato di dire qualcosa che mi pareva importante, insistetti per tornare dal parroco. Il pomeriggio del quindici ci fecero in parrocchia le foto ricordo, col prevosto. Quel giorno fu come se la guerra non esistesse.
    Dieci giorni, solo dieci giorni dopo, il venticinque aprile 1945, un ragazzo, che era partito per il suo lavoro, rientrava con la bicicletta gridando che c'erano in corso combattimenti per le strade di Milano; lo stesso ragazzo che spesso portava la triste notizia di retate tedesche, allorché, bloccati i tram, gli uomini che scendevano erano presi e mandati chissà dove. Quel giorno tutta l'Italia del nord s'era levata in armi contro l'invasore tedesco ed i loro alleati del regime di Salò. Nel pomeriggio alcune camionette passarono in Piazzale Selinunte, dove finiva via Zamagna. Degli uomini, sistemati sul gradino esterno, sparavano. La sera, una di queste si fermò davanti al negozio, che mio papà avevo voluto tenere aperto, per chiunque dovesse aver bisogno. Ci chiesero dell'acqua. Io ero uscito per guardare cosa avevano sul piano di carico. Non so quanto rimasi a gurdare, paralizzato, il piano del camiocino, su cui il sangue scorreva lentamente trascinando brandelli di carne. La sua partenza mi scosse, riportandomi alla realtà, mentre si allontanava con un forte odore d'alcol e sangue.
    I combattimenti continuarono per diversi giorni concentrati soprattutto intorno ai punti di resistenza tedesca e fascista. Uno di questi punti più difficili era piazzala Brescia verso cui era volto un lato della mia scuola. Spesso avevo visto passare sulla piazza i giganteschi carri armati Tigre.
    Il giorno successivo al venticinque, nell'atlmosfera di euforia che ci attanagliava andammo a recuperare Tom ed intorno al suo collo mettemmo un nastro tricolore. I clienti ridacchiando, gli domandavano se anche lui era andato a battersi sulle montagne. Tom sorrideva a modo suo agitando la coda. E la vita continuò così per diversi giorni. La notte si sentivano crepitare le armi; l'indomani, tracce di sangue sui marciapiedi e le strade disegnavano il cammino che per qualcuno era stato verso un luogo sicuro o la morte.
    Il primo venerdì del mese di maggio, ero andato a messa alla chiesa della Madonne Addolorata, vicino all' ippodromo di San Siro, allorché udimmo gli aerei passare a bassa quota sopra la chiesa. A fine messa io e mia sorella Carla uscimmo di corsa dirigendoci verso l'ippodromo. Per la prima volta in vita mia vidi passare talmente vicino degli aerei: erano Dakota americani, che passavano lanciando rifornimenti. Alla fine dei lanci, uno di loro passò, bassissimo, sulla pista dei cavalli, e vidi il primo americano. Ritto sulla porta agitava, salutandoci, le mani.
    Alcuni giorni dopo le truppe alleate entravano a Milano.

Camillo GOJ

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