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17 Luglio 1947 - Albenga
Tutto il dolore del mondo in quarantaquattro cuori di mamme
Dino Buzzati

18 Luglio 1947 - Albenga
L'ultimo bacio delle mamme alle piccole vittime di Albenga
Dino Buzzati

20 Luglio 1947 - Milano
Le bare bianche sono passate fra il pianto e le preghiere del popolo

Ottobre 1947 - Trieste
Questa é l'Istria oggi, squallidi villaggi dov'erano città
Vittorio G. Rossi

24 Dicembre 1947 - ROMA
Addio, Costituente
Alberto Ceretto

5 Maggio 1949 - Milano
Nel grande Stadio dell'aldilà... MAZZOLA passa a GABETTO
Indro Montanelli

5 Maggio 1949 - Milano
L'ultima veglia di Torino ai trentun caduti di Superga
Dino Buzzati

23 Febbraio 1951 - Sciangai
Come MAO mette al passo la vita cinese del Nord.
Cesco TOMASELLI

17 agosto 1951 - Tokio
Un Italiano condannato a morte per "spionaggio" nella Cina comunista.

ps6mi@aol.com

Anno 1954 - Il San Carlo aveva 90 anni

L'ultimo bacio delle mamme alle piccole vittime di Albenga

Una folla attonita e straziata accompagna le 44 bare al treno

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Albenga, 18 Luglio notte

  Quando stamane, all'ambulatorio della Croce Bianca, si stava per chiudere nelle casse le quarantotto vittime del mare - i quarantaquattro bambini e le quattro donne - entrò un uomo un po' titubante con in mano una cosa bianca, una specie di piccolo cuscino. Si trattava di un campione: lui era in grado di procurarne entro mezz'ora altre quarantasette affinchè le teste dei morti restassero un po' sollevate. Una delle mamme presenti, tutta consumata dall'insonnia e dal pianto, si alzò dalla sedia. Toccò il cuscinetto, vi affondò le dita per sentire se fosse morbido.. Scosse il capo: «No, no, troppo duro - disse con desolazione - Per il mio bambino questo no; non può andare questo per il mio Angelo».
  Era infatti un povero cuscino pieno probabilmente di trucioli, tutto adiposità e gnocchi. Da un angolo dove era in attesa, sbucò allora un altro uomo, un concorrente, con un sorriso mellifluo, e presentò il suo campione: un cuscino leggermente più umano. La madre esaminò anche questo seriamente e restò titubante. Anzichè trucioli doveva esserci dentro paglia sottile e le gobbe erano meno proninciate.
  Come avrebbe dormito il piccolo Angelo? Purtroppo un terzo tipo di cuscino da scegliere non c'era. E il secondo arrivato ebbe la preferenza sotto gli sguardi accigliati dei genitori. Il primo morticino fu avvolto allora in un bianco sudario, sotto la testa fu collocato il cuscino, la sua mamma gli accarezzò le gambette per l'ultima volta. Poi il coperchio fu suggellato.
  Le quarantotto bare erano pronte, bianche quelle per i piccoli, color quercia le altre. Non era stato naturalmente possibileprocurarle tutte eguali; ci si era dovuti accontentare di ciò che offrivano le ditte. Così qualcuna era esageratamente lunga, quasi di dimensioni normali; una era decorata con fregi in orocon grosse maniglie e crocifisso di ottone, un'altra era nuda e miserella e si accontentava di una decalcomania di angioletto applicata ai lati. Sul coperchio di ciascuna fu inchiodato un cartellino di latta col nome impresso come quelli che usano gli spedizioneri. E poi un mazzetto di fiori.
  Vengano i genitori se vogliono dare l'ultimo bacio. Nella piazza battuta dal sole chiamò le famiglie e nella sala della Croce Bianca, già invasa dal fradicio fiato della morte, si ripeterono a brevi intervalli le disperazioni indicibili delle madri e dei padri. Intanto Albenga si riempiva di gente mai vista, migliaia e migliaia, specialmente donne venute da tutta la Liguria. Anche il treno di Milano scaricò una moltitudine straordinaria.


Assurda aspettazione

  Ed ecco tutto è pronto.Nessuno dei quarantaquattro bambini morti si potrà mai più vedere; i loro miti e rassegnati faccini di cera non saranno più per noi vivi un rimprovero. Essi sono chiusi ermeticamente fra le candide assi e aspettano di partire.
  Il sole è al colmo, le palme oscillano lievemente. C'è il ministro Cappa in rappresentanza di De Gasperi, c'è Parri, ci sono le autorità della provincia, i sindaci di tutta la Riviera, i gonfaloni di Milano, Genova e Albenga, le società con le loro bandiere, la banda di Albenga, i giovani esploratori, le suore, il clero, tutte cose necessarie in una cosa così tremenda. Ascoltate, le campane hanno cominciato a suonare.
  Alle 16,15 esattamente la mitria del vescovo, risplendente come una piccola macchia di neve si mette in movimento e la prima bara esce dall'ambulatorio della Croce Bianca sorretta da quattro giovani. Ben quattrocento se ne sono presentati questa mattina offrendosi per il trasporto e parecchi hanno dovuto essere rimandati scontenti.
  Esce nel sole la prima bara e poi la seconda e poi la terza, si cerca di fare il più celermente possibile e non finisce mai. E, cominciando questa specie di spietato trionfo, al patetico suono della fanfara, ciascun padre e madre e zio e nonno si accoda al suo morto. Ben presto le bianche macchie delle bare sono tante che l'incredulità delle prime ore ricomincia. E nella folla nasce una specie di assurda aspettazione, come se ad ogni costo dovesse succedere una cosa che cancelli tutto quanto. Vediamo la gente fitta dovunque, donne e donne che stringono il fazzoletto alle labbra, donne la cui bocca trema, donne affacciate alla finestra con la testa tra le mani. I vestiti per lo più sono allegri, da estate e da mare, ma tutte piangono dirottamente.


Il morticino di Verona

  Passa una signora che accarezza lievemente la bara. Passa un padre recando per mano un piccolo sacco da montagna, tutto ciò che rimane della sua creatura.
   Passa la giovanissima madre di Enzo, la cui angoscia selvaggia e ininterrotta da 24 ore provoca la pietà delle stesse altre mamme. Vediamo tutti i negozi sprangati. Vediamo un gruppo di bimbette lanciare fiori quasi con accanimento. Vediamo avanzare solo soletto un morticino di Verona a cui nessuno ha detto «caro» o ha dato un bacio. Sperdutissimo egli procede con gli altri nell'immensa processione: e non c'è neppure un'anima pietosa che finga di essergli parente e si incammini dietro per evitargli la mortificazione. Eppure non succede niente.
  Dinanzi all'antica cattedrale sono schierate le corone, ce ne sono 82 da quelle del ministro dell'interno e del comando militare alleato a quelle dei minuscoli sodalizi locali. Le campane continuano a suonare. Sopra il portale si legge: «Lasciate che i pargoli vengano a me, perchè di essi è il regno dei Cieli». I 48 entrano nel tempio, vengono allineati sopra gli inginocchiatoi nella navata centrale. Adesso suona l'organo e i cantori intonano il Libera me Domine. Come resisterà al pianto? Dietro a ciascuna bara si raccolgono i parenti che si ostinano a chiamare i bimbi coi loro cari nomi. Solo dietro al morticino di Verona non c'è nessuno; si distingue bene il posto rimasto vuoto. Questo è eccessivamente amaro, eppure non succede niente.
  Gli antichi costruttori del Duomo lo fecero grande perchè l'intero popolo potesse venire ad adorare il suo Dio. Oggi però è angusto. Anche per l'insigne cattedrale 44 bimbi morti sono numericamente troppi e quindi la chiesa sembra diventata piccola, non più d'una cappelletta di montagna. Degli altari ai lati, la Madonna del rosario, la Madonna del Carmine e la Madonna di Loreto guardano trasecolate. Ache l'acqua santa dell'aspersorio, e si ch'è un bel grande aspersorio da vescovo, è poca per tanti bambini. Alla fine della benedizione non ne resta una goccia.
  Parla il vescovo. Non ha accenti patetici o insinuanti. Una specie di aspra esasperazione da domenicano irrigidisce il suo volto. «Quello che è successo è un mistero incomprensibile - egli dice con impeto - e solo la Fede può squarciarlo. Ma se voi piangete - e qui la sua voce si fà minacciosa - io vi dirò che loro ci hanno preceduto». Al suo Requiem aeternam si unisce in coro l'invocazione della folla.


Vanno quietamente

  I 44 bimbi e le quattro donne escono di nuovo nel sole, la folla pare diventata sempre più grande, verso la stazione si fa ancora più densa e dolorante. Trentamila, quarantamila persone? Mai Albenga ne ha viste tante. La strordinaria sfilata si avvia alla fine, la più crudele sventura di questi anni sta terminando la sua cronaca. La estenuazione del dolore ha trasformato i padri e le madri in miserabili automi che ancora vaneggiano di avere un bambino vivo. E l'assurda aspettazione di un'ora fa si è dissolta nel sole. Non è successo niente. Le piccole casse da morto sono di legno duro e nessuna potenza al mondo le potrà più riaprire.
  Sul piazzale della stazione, invisibile perchè parla attraverso un altoparlante, il sindaco di Albenga con nobile semplicità saluta i piccoli che partono definitivamente. Poi parla Parri e la commozione della sua voce esce con strane vibrazioni dall'imbuto metallico. Infine parla il ministro Coppa.
  Poco dopo vediamo la prima bara, laggiù in fondo, salire la scarpata che porta ai treni. Non è successo niente. Addio, addio.
  Due carri ferroviari tapezzati interamente di nero sono pronti per loro, uno destinato a Verona, l'altro a Milano. Questo porta un cartellino con su scritto: «Ministero delle comunicazioni - Ferrovie dello Stato - carro 114834» e poi a mano di traverso: «Feretro». Accanto ci sono le vetture per i parenti. Non ci vuole molto a fare il carico. Sono così leggere le casse. Esse formano tre strati da una parte e dall'altra. Sopra le casse le corone e i fiori. Nello spazio di mezzo un agente armato monta la guardia d'onore.
  Alle 19,30 il treno si muove vigilatodallo sguardo avido della folla. Sepolti dai gladioli e dai garofani, i bambini odono forse ora il tran tran delle ruote sulle rotaie, quel rumore di viaggio e di avventure così affascinante. Forse riescono a fare ancora un piccolo sorriso che la mamma però non vede. E vanno quietamente.

Dino Buzzati

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