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17 Luglio 1947 - Albenga
Tutto il dolore del mondo in quarantaquattro cuori di mamme
Dino Buzzati

18 Luglio 1947 - Albenga
L'ultimo bacio delle mamme alle piccole vittime di Albenga
Dino Buzzati

20 Luglio 1947 - Milano
Le bare bianche sono passate fra il pianto e le preghiere del popolo

Ottobre 1947 - Trieste
Questa é l'Istria oggi, squallidi villaggi dov'erano cittą
Vittorio G. Rossi

24 Dicembre 1947 - ROMA
Addio, Costituente
Alberto Ceretto

5 Maggio 1949 - Milano
Nel grande Stadio dell'aldilà... MAZZOLA passa a GABETTO
Indro Montanelli

5 Maggio 1949 - Milano
L'ultima veglia di Torino ai trentun caduti di Superga
Dino Buzzati

23 Febbraio 1951 - Sciangai
Come MAO mette al passo la vita cinese del Nord.
Cesco TOMASELLI

17 agosto 1951 - Tokio
Un Italiano condannato a morte per "spionaggio" nella Cina comunista.

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Anno 1954 - Il San Carlo aveva 90 anni


Addio, Costituente

   Roma 24 dicembre, notte.
   Per gli onorevoli costituenti la giornata di lunedì ha rappresentato il preludio, quasi la prova generale dell'addio. Perchè anche se si ritroveranno, in gennaio, ai loro seggi consueti, nell'aula di Montecitorio, per la discussione di alcune leggi, la Costituente però ha chiuso, ufficialmente, la sua vita con la seduta di lunedì scorso. Come sempre accade per le vigilie degli addii e delle partenze, anche questa è stata intensa, indaffaratissima, nervosa. Il lavoro incalzava; negli ultimissimi giorni, i deputati non potevano lasciare Montecitorio che per un'ora o due nella giornata; le sedute erano interminabili, le discussioni si moltiplicavano, gli emendamenti alla Costituzione e alla legge elettorale fioccavano fitti cme farfalle di neve, le votazioni si susseguivano senza dar respiro.
   I deputati facevano la spola tra l'aula e il «transatlantico»: spesso il loro pasto consisteva soltanto in un panino consumato alla buvette; e anche per questo forse, erano ansiosi e irritabili.
  Ma, in sostanza, il lavoro costituzionale era, ormai, terminato, e nell'attesa della seduta solenne di chiusura, per la votazione sulla Carta, i deputati avevano tempo di riflettere sulla strada percorsa. Parecchi di loro sostavano nella saletta di lettura, dove erano deposti i bozzetti dell'emblema della Repubblica Italiana che non soddisfaceva molto nè i repubblicani, nè i monarchici: i primi perchè trovavano che quella cinta di mura turrite, stretta nell'abbraccio di una spiga di grano e di una fronda di quercia, troppo somigliava, sommariamente osservata, ad una corona; gli altri, in fondo per la stessa ragione, pur se mossi da diversi sentimenti.
Finisce l'anno, i deputati smobilitano. Il poeta di Montecitorio scrive, malinconico:
« Con la legge delle leggi
lasceremo i nostri seggi »

   «Ma insomma quale dovrebbe essere secondo lei?», abbiamo chiesto al segretario del partito liberale on. Lucifero.
   «L'Italia non ha mai avuto un emblema araldico: la sola immagine tradizionale è un volto di donna turrita. Ora siccome 'na capa' e femmena sulla bandiera non si può mettere, non restano che le torri, non c'è dubbio».    Intanto nel fervore della vigilia, s'intrecciano per i corridoi di Montecitorio i saluti e gli auguri. L'augurio era per le feste imminenti; ma, forse, nella profondità dell'animo, era anche di tornare a questi seggi nella futura Camera legislativa. Naturalmente, quelli che più serenamente offrivano gli auguri con l'animo ormai tranquillo erano i senatori di diritto. E alla moribonda Costituente tutti volgevano il loro pensiero: alcuni senza parlarne, con la tenerezza con cui si pensa a una donna molto amata, altri con la malinconia del distacco, altri infine con un sorriso d'arguzia espressa in un motto o in pochi versi. Perchè i dilettanti verseggiatori non sono pochi nell'Assemblea.
  Il più sollecito fra questi ultimi, è stato, naturalmente, il socialista on. Paolo De Michelis, noto ormai nelle cronache di corridoio con lo pseudonimo di «on. 557». De Michelis, che tutta la vita della costituente ha commentato in rapidi versi, ci ha riassunto così il suo saluto all'Assemblea e ai colleghi: «Si è alla fine finalmente - del lavoro costituente - con dolore di Colitto - che non stette un giorno zitto - e dei vari Condorelli, dei Codacci Pisanelli. - e di alcun che addiritura - una piccola pretura - vuole far del Parlamento - pel suo vano ciarlamento». E con questa piccola cattiveria l'«on. 557» riprende.
«Si dia lode al presidente - che con arte sorprendente, - con amor, con intelletto - portò in salvo il gran progetto. - Pur lodato sia l'attivo - capo in testa dei Soloni - che qual padre putativo - del progetto in discussioni - aspre e forti con gran merto - lo difese a viso aperto - e il serafico Ambrosini - la felice levatrice - che affidò con ogni cura - a Tosato, a Conti e Grassi, a Targetti ed a Perassi».   Ma diamine, dopo questo ammirato elogio ai Soloni maggiori e minori della Costituzione, non ci vuole anche un moderato elogio per l'onorevole Costituente? De Michelis pensa di sì e conclude infatti «Si dia encomio solennissimo al paziente costituente - operoso e silenzioso che prestissimo capì - quel che il saggio scrisse un dì: - Bel tacer non fu mai scritto - parlar troppo è ver delitto. - Onorevoli colleghi - con la legge delle leggi - promulgata a San Silvestro - lasceremo i nostri seggi; io col seggio lascio l'estro - e ritorno al lavor mio - e con ciò, colleghi addio...».   Conciso e pungente, invece, è il liberale on. Girolamo Bellavista, uno dei più felici verseggiatori estemporanei di Montecitorio. Osserva: «Secondo un'opinione - diffusa tra la gente - con la Costituzione fu la Costituente. - L'opinione volgare - è sorta senza ratio perchè, pur di durare, nacque la prorogatio.
  Già, appunto, quella prorogatio juris che permetterà ai deputati di ritrovarsi in gennaio per un breve periodo di lavoro prima di prendere definitivamente congedo. Ovvero, per dirla con Körmendi, ritrovarsi e dirsi addio.

Alberto Ceretto

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