Roma
24 dicembre, notte.
Per gli onorevoli costituenti la giornata di lunedì ha rappresentato il preludio, quasi la prova generale dell'addio. Perchè anche se si ritroveranno, in gennaio, ai loro seggi consueti, nell'aula di Montecitorio, per la discussione di alcune
leggi, la Costituente però ha chiuso, ufficialmente, la sua vita
con la seduta di lunedì scorso. Come sempre accade per le vigilie
degli addii e delle partenze, anche questa è stata intensa, indaffaratissima,
nervosa. Il lavoro incalzava; negli ultimissimi giorni, i deputati non
potevano lasciare Montecitorio che per un'ora o due nella giornata; le
sedute erano interminabili, le discussioni si moltiplicavano, gli emendamenti
alla Costituzione e alla legge elettorale fioccavano fitti cme farfalle
di neve, le votazioni si susseguivano senza dar respiro.
I deputati facevano la spola tra l'aula e il «transatlantico»:
spesso il loro pasto consisteva soltanto in un panino consumato alla buvette;
e anche per questo forse, erano ansiosi e irritabili.
Ma, in sostanza, il lavoro costituzionale era, ormai, terminato,
e nell'attesa della seduta solenne di chiusura, per la votazione sulla
Carta, i deputati avevano tempo di riflettere sulla strada percorsa. Parecchi
di loro sostavano nella saletta di lettura, dove erano deposti i bozzetti
dell'emblema della Repubblica Italiana che non soddisfaceva molto nè
i repubblicani, nè i monarchici: i primi perchè trovavano
che quella cinta di mura turrite, stretta nell'abbraccio di una spiga di
grano e di una fronda di quercia, troppo somigliava, sommariamente osservata,
ad una corona; gli altri, in fondo per la stessa ragione, pur se mossi
da diversi sentimenti.
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Finisce l'anno, i deputati
smobilitano. Il poeta di Montecitorio scrive, malinconico:
« Con la legge delle leggi
lasceremo i nostri seggi »
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«Ma insomma quale dovrebbe essere secondo lei?», abbiamo chiesto al segretario del partito liberale on. Lucifero.
«L'Italia non ha mai avuto un emblema araldico: la sola
immagine tradizionale è un volto di donna turrita. Ora siccome 'na
capa' e femmena sulla bandiera non si può mettere, non restano
che le torri, non c'è dubbio». Intanto nel fervore
della vigilia, s'intrecciano per i corridoi di Montecitorio i saluti e
gli auguri. L'augurio era per le feste imminenti; ma, forse, nella profondità
dell'animo, era anche di tornare a questi seggi nella futura Camera legislativa.
Naturalmente, quelli che più serenamente offrivano gli auguri con
l'animo ormai tranquillo erano i senatori di diritto. E alla moribonda
Costituente tutti volgevano il loro pensiero: alcuni senza parlarne, con
la tenerezza con cui si pensa a una donna molto amata, altri con la malinconia
del distacco, altri infine con un sorriso d'arguzia espressa in un motto
o in pochi versi. Perchè i dilettanti verseggiatori non sono pochi
nell'Assemblea.
Il più sollecito fra questi ultimi, è stato,
naturalmente, il socialista on. Paolo De Michelis, noto ormai nelle cronache
di corridoio con lo pseudonimo di «on. 557». De Michelis, che
tutta la vita della costituente ha commentato in rapidi versi, ci ha riassunto
così il suo saluto all'Assemblea e ai colleghi: «Si è
alla fine finalmente - del lavoro costituente - con dolore di Colitto -
che non stette un giorno zitto - e dei vari Condorelli, dei Codacci Pisanelli.
- e di alcun che addiritura - una piccola pretura - vuole far del Parlamento
- pel suo vano ciarlamento». E con questa piccola cattiveria l'«on.
557» riprende. |
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«Si dia lode al presidente - che con arte sorprendente, - con amor, con intelletto - portò in salvo il gran progetto. - Pur lodato sia l'attivo - capo in testa dei Soloni - che qual padre putativo - del progetto in discussioni - aspre e forti con gran merto - lo difese a viso aperto - e il serafico
Ambrosini - la felice levatrice - che affidò con ogni cura - a Tosato,
a Conti e Grassi, a Targetti ed a Perassi». Ma diamine,
dopo questo ammirato elogio ai Soloni maggiori e minori della Costituzione,
non ci vuole anche un moderato elogio per l'onorevole Costituente? De Michelis
pensa di sì e conclude infatti «Si dia encomio solennissimo
al paziente costituente - operoso e silenzioso che prestissimo capì
- quel che il saggio scrisse un dì: - Bel tacer non fu mai scritto
- parlar troppo è ver delitto. - Onorevoli colleghi - con la legge
delle leggi - promulgata a San Silvestro - lasceremo i nostri seggi; io
col seggio lascio l'estro - e ritorno al lavor mio - e con ciò,
colleghi addio...». Conciso e pungente, invece, è
il liberale on. Girolamo Bellavista, uno dei più felici verseggiatori
estemporanei di Montecitorio. Osserva: «Secondo un'opinione - diffusa
tra la gente - con la Costituzione fu la Costituente. - L'opinione
volgare - è sorta senza ratio perchè, pur di durare,
nacque la prorogatio.
Già, appunto, quella prorogatio juris che permetterà
ai deputati di ritrovarsi in gennaio per un breve periodo di lavoro prima
di prendere definitivamente congedo. Ovvero, per dirla con Körmendi,
ritrovarsi e dirsi addio.
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